Cultura

Sorba, Saccolongo, Lembeek: la corsa del campione del mondo Vito Di Tano

Massimo Vinale
Solbiate Olona (Padova)
Social Politik torna per raccontare "una storia d'altri tempi, di prima del motore; quando si correva per rabbia o per amore"
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Social Politik torna per raccontare una storia d’altri tempi, di prima del motore; quando si correva per rabbia o per amore”. Francesco De Gregori, però, non centra. La citazione tratta dal brano “Il Bandito e il Campione” serve, infatti, per introdurre la vicenda umana e sportiva di un campione del mondo: “Un ragazzo del borgo, cresciuto troppo in fretta; un’unica passione per la bicicletta”. Se Luigi Grechi, fratello maggiore di De Gregori, è l’autore del brano che racconta la storia di Sante Pollastri e Costante Girardengo, Vito Di Tano nasce a Sorba, una contrada di Monopoli, il 23 settembre 1954, da mamma Maria e papà Giulio. Grechi e Di Tano narrano entrambi “un incrocio di destini in una strana storia, di cui ai giorni nostri si è persa la memoria”. Tant’è che nel 1993 il padre de “Il Bandito e il Campione” vince il “Premio Tenco”; mentre, nel 1979, il figlio dei contadini di Sorba vince il suo primo campionato del mondo di ciclocross.

«Sono nato in un trullo della campagna di Monopoli, dove, ancora oggi, mi reco volentieri per coltivarne i frutti e la memoria – racconta ai taccuini di Fasanolive Vito Di Tano -. Frequento la scuola elementare presso la Balice, in territorio di Fasano». Contrada Sorba e Balice, infatti, seppur collocate in comuni e province diverse, misurano poco più di un chilometro di distanza. «Di pomeriggio, a piedi, raggiungo una masseria che dista quattro chilometri da casa – racconta Di Tano – dove faccio dei piccoli lavoretti che mi consentono di guadagnare qualcosa, così da aiutare la mia famiglia. Terminata la quinta elementare, la separazione dei miei genitori mi porta a Fascianello, un’altra contrada; stavolta nel comune di Fasano. Qui nasce la mia passione per il ciclismo».

Il piccolo Di Tano è, infatti, spettatore incallito di qualsiasi gara che si disputa in città. Anche nelle ore più assolate è sul traguardo di ogni volata, per sentire l’accelerato fruscio dei pedali. Conosce i nomi dei corridori, delle squadre e dei direttori tecnici. Fatte le debite distinzioni, nel racconto del Campione del Mondo, sembra di rivedere la passione di Sante Pollastri, leggendario anarchico e bandito finito in manette, per aspettare, sul traguardo, l’amico d’infanzia e due volte campione del “Giro d’Italia”, Costante Girardengo.

Intanto, «la situazione economica della mia famiglia mi impone di lavorare. A 11 anni, terminata la prima media, sono costretto ad abbandonare gli studi. Sono il più grande di cinque figli e tocca a me dare una mano in casa. Lavoro come garzone presso la ditta “Bibite Sansonetti” di Fasano. Tale occupazione mi consente di guadagnare qualcosa e di distribuire aranciate in sella ad una bicicletta».

Già! La bicicletta: un sogno per il piccolo Vito Di Tano. Un sogno che nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, per molti ragazzi meridionali, resta un lusso. «A 13 anni, e fino ai 19, il crescente bisogno mi porta a cambiare lavoro. Faccio il muratore alle dipendenze della ditta Carparelli & De Mola», racconta Di Tano. Ma “fra rabbia ed amore il distacco già cresce e chi sarà il campione già si capisce”. «A 14 anni, con la casacca della Libertas, corro la mia prima gara, partecipando ai “Giochi della Gioventù” che si disputano a Fasano; ma la mia prima vittoria è del 1969».

In questi anni, si accorgono delle enormi potenzialità del “ragazzo di Sorba” addetti ai lavori e non. Sono molti, infatti, gli appassionati di ciclismo che diventano veri e propri tifosi del giovane Di Tano. Tra loro c’è Vito Ancona, un ex minatore di ritorno dal Belgio, per la solita “questione meridionale”. L’ex emigrante accetta a fatica l’idea che quel ragazzo di 193 centimetri possa continuare a fare l’operaio edile. «Vito Ancona, per tutti “Vito Missieur” (Monsieur, ndr) – racconta Di Tano – è mio il primo, vero talent scout. Non a caso intercede presso l’azienda dove lavoro». I titolari dell’impresa edile (Gaetano Carparelli e Martino De Mola), a loro volta, comprendono subito che l’apprendista appena assunto, in sella alla bicicletta, ha del talento. «Mi danno due mezze giornate libere per allenarmi e me le pagano pure – commenta il nostro campione -. Per Gaetano e Martino continuo a conservare un’immensa stima e tanta riconoscenza».

In questo tempo, al futuro Campione di Saccolongo e Leembek, Sergio Ancona, figlio di “Vito Missieur” e futuro consigliere comunale durante “l’età donatista” (Amministrazioni De Carolis, 1993/2002), dona il regalo più gradito: una bici da corsa. Sergio, omonimo del cugino a cui è dedicato lo stadio di Pezze di Greco, coltiva la stessa passione del padre: il ciclismo. Insieme condividono un tifo sfegatato per Vito Di Tano. Regalare una bici da corsa al talentuoso giovanotto di Fascianello è quasi un dovere.

«È la mia prima bici. La conservo gelosamente ancora oggi», osserva con gli occhi gravidi di emozione e lacrime, Vito Di Tano. Siamo nel 1973. Di Tano ha 19 anni. La sua pedalata, ricca di gavetta e orgoglio per le origini, lo porta sulle strade di Puglia a tagliare per primo il traguardo in ben 7 competizioni diverse. Di Tano vince il suo primo “Giro di Puglia” nel 1977. Sono tali successi a proporgli la ribalta regionale. Un anno più tardi, partecipa al “Giro di Jugoslavia”. Nella patria di Josip Broz Tito, tra lo stupore generale e l’incredulità degli “organizzatori rossi”, Di Tano vince il bronzo. E’ cosi che “il ciclista di Sorba” si guadagna le cronache sportive nazionali e con esse la casacca del promettente team toscano “Fiorella/Mocassini”. A poco più di vent’anni, siamo nel 1975, Vito Di Tano lascia, dunque, il mestiere edile per inseguire la professione del ciclista. Col team “Fiorella/Mocassini”, Di Tano partecipa al “Giro del Messico” del 1976, vincendo, dopo una lunga fuga solitaria, la decima tappa.

Il sudore, evidentemente, basta a soddisfare la passione per le due ruote; ma non garantisce un reddito sicuro per un ragazzo del sud d’Italia che sogna sì di diventare Girardengo, ma che rischia di sperimentare la “moderna questione meridionale”. Nel periodo considerato, infatti, il tasso di disoccupazione, nel Mezzogiorno, raggiunge il 50,1% (cfr. dati Istat 1977). «A 23 anni, superato un concorso, sono ferroviere presso la stazione di Verdello Dalmine, in Lombardia – precisa Di Tano -. Ciò comporta una scelta assai dolorosa per me: rinunciare al ciclismo».

Vito Ancona, però, non ci sta. Insieme a suo figlio fa di tutto per farlo desistere. Tra i tifosi del campione pugliese c’è anche Clemente Amati, un rinomato meccanico fasanese, la cui officina, in via Mignozzi, spesso si trasforma in una tribuna sportiva per i tanti appassionati di ciclismo. Anche a “Mest Clement” non va giù l’idea che il promettente ciclista Vito Di Tano possa abbandonare il mondo dei pedali. «”Mest Clement” – chiarisce Di Tano – non è solo un mio tifoso sfegatato; ma il tecnico più arguto della meccanica di una bici che io abbia mai conosciuto. Umanamente, poi, è stato impareggiabile: mi è sempre stato vicino nei momenti più difficili della mia lunga carriera. Se non sono sceso dalla sella della bici nel 1977 lo devo anche a lui».

Nel puzzle degli ultras di Vito Di Tano manca la tessera che porta il nome di Giuseppe Branio, fondatore e titolare della rinomata pizzeria “da Peppino” a Pezze di Greco. I quattro fanno sul serio. Nella frazione più popolosa d’Italia, dove nel frattempo si è trasferito Di Tano, fondano la “Società Fiorella Pezze di Greco”, col sostegno della “toscana Fiorella”.

Stavolta Di Tano non ha dubbi. Aggredisce i pedali della nuova bici caricando sui polpacci la rabbia, la fatica e gli sforzi economici di tutti i suoi amici sostenitori ed estimatori. Racconta Di Tano: «Non ho mai smesso di fare il ferroviere perché non mi sentivo un campione con la ‘c’ maiuscola. Perciò, il senso di responsabilità mi suggeriva di non rinunciare ad un reddito sicuro. Del resto, solo se mi fossi affermato nel ciclismo professionistico avrei potuto immaginare il mio futuro, esclusivamente, in sella ad una bici. Ciò nonostante non potevo deludere gli sforzi degli amici della ‘Fiorella/Pezze di Greco’. Ecco la mia scelta: si lavora e si pedala… come ai tempi di Sorba e Fascianello». Vito Di Tano, dunque, non lascia; ma raddoppia! Il problema restano gli allenamenti. I turni del ferroviere (pomeriggio, mattino e notte, smontante e riposo) mal si conciliano con il ciclismo su strada, specie ad alti livelli. Nel frattempo, a mezzo telegramma, le Ferrovie dello Stato fanno sapere al capitano della “Fiorella/Pezze di Greco” che deve trasferirsi a Bergamo. Qui le rotaie dei treni hanno lo stesso profumo di quelle di Fasano, Polignano a Mare e Brindisi, dove Di Tano completerà la sua professione di ferroviere, tra l’orgoglio, il tifo e l’affetto dei suoi tanti colleghi.

A Bergamo, tuttavia, il futuro Campione del Mondo incontra Paolo Guerciotti, una «persona speciale», come egli stesso la definisce. «A distanza di quarant’anni dal nostro primo incontro – afferma Di Tano – considero Paolo come un fratello». Paolo Guerciotti, in verità, ha un fratello. Si tratta di Italo, noto ed esperto ciclocrossista azzurro. Wikipidia fa sapere che i due, nel 1964, a Milano, aprono un piccolo negozio di 20 metri quadri, dove «vendono e riparano bici. In pochi anni il marchio Guerciotti diventa una multinazionale del fango», conquistando ben dieci campionati del mondo di ciclocross. Su strada, con il team Guerciotti corrono Baronchelli e Battaglin, per citare solo alcuni nomi del ciclismo italiano. Sullo sterrato, invece, è lo stesso Paolo a vestire la maglia azzurra ai campionati del mondo di ciclocross del 1976. Vito Di Tano entra, dunque, a far parte della “multinazionale del fango” nel 1978, all’età di 24 anni. D’ora in poi, il “Campione di Sorba” non correrà più su strada; ma nel fango del ciclocross dilettantistico. Ciò gli consentirà, definitivamente, di conciliare il lavoro di ferroviere con “l’unica passione per la bicicletta”.

All’esordio col “Gruppo Sportivo Guerciotti”, Di Tano partecipa, per la prima volta, ai mondiali di ciclocross che, nel 1978, si disputano ad Amorebieta-Etxano, in Spagna. Giungerà quinto, smentendo ogni pronostico. Paolo Guerciotti ci ha visto giusto. Tant’è che non perde tempo. Attiva subito una macchina organizzativa, degna di un marchio sportivo, ormai conosciuto e apprezzato a livello internazionale. I prossimi campionati del mondo, infatti, si disputano in Italia e, più precisamente, a Saccolongo, in provincia di Padova.

«Nel mio cuore pensavo di fare bene – rivela Di Tano -; ma non immaginavo di vincere. Il tifo, però, era così travolgente da dare sempre più forza alla mia pedalata: metro dopo metro, fango su fango, sentivo sulla pelle non la fatica mista a sudore, ma l’entusiasmo dei tifosi. Non correvo solo contro Stamsnijder e Muller; ma contro me stesso. Non pensavo ai miei avversari, pur fortissimi. Pensavo ai tanti chilometri fatti a piedi da ragazzino per andare a lavorare in masseria; alla ‘bici delle aranciate’, ai calli del manovale edile. Pensavo, insomma, che dovevo vincere per riscattare la storia di chi come me vantava un credito con la vita’».

“Fu antica miseria o un torto subito”, canta De Gregori a proposito di Sante Pollastri, “a fare del ragazzo un feroce bandito; ma il proprio destino nessuno lo sfugge”. Così è per Vito Di Tano. Il suo destino è quello del campione. Sul traguardo di Saccolongo, Vito Di Tano è primo. Sul suo viso, sporco di fango e fatica, brillano le lacrime dell’umiltà, della fierezza, dell’orgoglio e dalla gioia. Il ragazzo di Sorba, a soli 25 anni, veste la maglia iridata del campione del mondo di ciclocross. Amici, parenti, tifosi e, soprattutto, ferrovieri, tanti ferrovieri, organizzano caroselli spontanei di automobili sventolando il Tricolore. La vittoria di Saccolongo consacra definitivamente il “Campione di Sorba”, tanto che il Coni, nello stesso anno, gli conferisce la Medaglia d’oro al valore atletico.

Se, dunque, nel 1979 Di Tano si laurea campione del mondo, nel 1980 vince il suo primo campionato italiano di ciclocross. Vittoria che bisserà nel 1982, 1983 e 1984. Il 1985 è un’annata storta per il nostro Campione. Guerciotti, però, non dispera. L’obiettivo è il prossimo campionato del mondo. Nel 1986 la corsa si corre nel fango di Lembeek, in Belgio. Di Tano è, ormai, un campione affermato. I maligni, però, sostengono che nulla potrà contro i nuovi campioni belgi e tedeschi dell’est, soprattutto. De Rey e Messelis, in effetti, sono i veri candidati alla vittoria finale della ventesima edizione della corsa iridata. Per non parlare, poi, della “pedalata militare” del tedesco dell’est Mike Kluge e dei cecoslovovacchi Kreuziger e Kloucek. Bene farebbe Di Tano a dedicarsi al solo campionato italiano, scrivono diversi giornalisti sportivi e dichiarano alcuni addetti ai lavori. È così è!

Di Tano vince il suo quinto campionato nazionale di ciclocross; ma non gli basta. Vuole smentire i “gufi”. Com’è noto, i campionati mondiali di ciclocross si disputano al termine dei vari campionati nazionali; solitamente nel mese di gennaio. La Rai, stavolta, non può evitare di inviare una propria troupe nelle Fiandre. La telecronaca è affidata ad Adriano De Zan. Alla partenza, Di Tano non indossa la maschera della rassegnazione; ma il volto della “rabbia olimpica”. Le sue ambizioni sono trascinate dai sogni, oltre che dai pedali. La notizia che nessuno si aspetta la da’ la «Domenica Sportiva» di Sandro Ciotti: Vito Di Tano è campione del mondo di ciclocross per la seconda volta. «Io, un meridionale, sul podio più alto: non ci posso credere!». Queste le parole tormentate dall’emozione che il “ragazzo di Sorba” pronuncia ai microfoni Rai.

La corsa del nostro Campione, in uno con quella di Social Politik, potrebbe concludersi qui, tra i fasti di una carriera costellata di sacrifici e successi. Se così fosse, però, renderemmo un torto a Vito Di Tano. Nel 1987, infatti, per la sesta volta in carriera, il pupillo di “Vito Missieur” e “Mest Clement” si conferma campione italiano di ciclocross. È, però, questo il tempo che prepara l’addio alle corse del “ragazzo del borgo, cresciuto troppo in fretta”. Nel 1990, con la stessa emozione e le stesse lacrime di Saccolongo e Lembeek, Di Tano scende dal sellino della sua bici. Lo fa con discrezione, come solo i grandi campioni sanno fare. Da quel giorno, i tubolari della sua bici continuano a girare per avvolgere la pellicola di una vita degna di essere raccontata.

Nel 2002, Di Tano diventa il direttore tecnico del “Gruppo Sportivo Guerciotti”. Da allora, il palmares del team lombardo si arricchisce di ulteriori trofei e riconoscimenti, tanto che il Coni, nel 2010, conferisce al campione di Sorba la “Palma di Bronzo al merito tecnico”. È del 2014, invece, il “Premio Dolmen” che il sindaco di Fasano, Lello Di Bari, gli consegna, durante la quinta edizione del Montalbano Folk Fest, “perché il tempo dei buoni è misura della vera rivoluzione”, si legge nella motivazione.

Di Tano, però, ha un’ultima sfida da vincere. «Nella vita – confida – ho vinto tanto, ma ho perso molto di più: mia moglie Livia. La mamma di tre meravigliosi figli che ha smesso di incitarmi al traguardo, per diventare un Angelo e guidarmi “dietro alla curva del tempo che vola…”».

lunedì 11 Dicembre 2017

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ancona domenico
ancona domenico
6 anni fa

un grande uomo ,un campionissimo semplice ed umile da esempio per tutti coloro che amano lo sport vero senza soldi ma fatto di passione e sacrificio