Attualità

Tra il “sì” e il “no” qualche però

Massimo Vinale
Scheda Referendum
Con l'approssimarsi della scadenza elettorale del 4 dicembre, anche a Fasano, come nel resto del Paese, si discute di referendum confermativo
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Con l’approssimarsi della scadenza elettorale del 4 dicembre, relativa alla riforma costituzionale voluta dal “Governo Renzi” col DDL Cost. AC n. 2613 – B del 8 aprile 2014, anche a Fasano, come nel resto del Paese, si discute di referendum confermativo, in generale, e dei 48 articoli della Costituzione  (su 139) riformati, più in particolare. Anche in città, in verità, non manca il dibattito sul voto “pro Governo Renzi” (SI) e “contro il Governo Renzi” (NO). Non a caso, tra comitati ufficiali e non ufficiali, si registra un solo “Comitato per il SI” e svariati “Comitato per il NO”, molti dei quali in dissenso rispetto all’azione di governo, prim’ancora che sul merito della riforma. Social Politik intende rimanere estraneo alla polemica dei partiti, tanto da affrontare, per quanto possibile, il solo merito della riforma che, è bene precisarlo, non può essere confinata nel tecnicismo del diritto costituzionale, attese le evidenti ricadute in ambito politico, specie se combinate con la nuova legge elettorale.

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L’Italicum prevede, infatti, che la lista che al primo turno ottiene il 40% dei voti, ha diritto al 55% dei seggi (340 su 617, atteso che 12 deputati saranno eletti nella “circoscrizione estero” e 1 è appannaggio della Valle d’Aosta). Al primo turno è, inoltre, prevista una soglia di sbarramento del 3%. Nel caso in cui nessuna lista dovesse raggiungere il 40% dei voti al primo turno, senza possibilità di apparentamenti, scatterebbe il turno di ballottaggio tra le 2 liste più votate. Ciò consentirà alla lista vincente (magari col 20% dei voti al primo turno) di ottenere comunque il 55% dei seggi. Se a ciò si aggiungono tutte le disposizioni contenute nella riforma costituzionale, il “combinato disposto” di cui tanto si parla rischia, in effetti, di produrre un forte indebolimento del Parlamento a favore della maggioranza di governo.

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Non c’è dubbio, tuttavia, che il testo licenziato dal Parlamento della Repubblica (che ha riformato il Titolo I, II, III, V e VI della parte II^ della Costituzione) migliori, di molto, per esempio, il vecchio Titolo V, tanto da eliminare le materie la cui competenza è, a Costituzione vigente, attribuita allo Stato e alle Regioni in maniera concorrente. Ciò ha prodotto, come noto, il moltiplicarsi dei ricorsi dello Stato e delle Regioni dinanzi alla Corte Costituzionale, al fine di superare il crescente conflitto di competenze, specie in materia di politiche energetiche e non solo. E’, tuttavia, doveroso osservare che a fronte della modifica della forma di Stato (più poteri allo Stato centrale e meno alle regioni a statuto ordinario), nulla è stato fatto per modificare, in senso egualitario, l’anacronistica condizione di privilegio delle regioni a statuto speciale e quella delle province autonome di Trento e Bolzano.

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Il novero degli aspetti positivi della riforma si arricchisce, comunque, con l’introduzione della clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale (art. 117, comma 5); con la previsione dei referendum propositivi e di indirizzo (art. 71, comma 4); con l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (art. 99); con l’abolizione definitiva delle Province (art. 114), eccezion fatta per quelle autonome; con la riduzione del numero dei parlamentari (art. 57) e, non ultimo, con la cancellazione dei rimborsi ai gruppi politici presenti nei Consigli regionali (disposizioni finali).  

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Beninteso! Social Politik non sostiene nessuna tesi “contro la casta”. Chi scrive, per esempio, è sostenitore del finanziamento pubblico ai partiti (ma non ai gruppi politici parlamentari e regionali), magari ridotto in misura pari a quello dei privati (mai superiore alla quota pubblica) e considera una limitazione della potestà legislativa regionale (art. 121) fissare l’indennità dei Consiglieri regionali su quella dei sindaci delle città capoluogo di regione (art. 122). Chi scrive sostiene, inoltre, l’assoluta legittimità (giuridica e morale) delle indennità riconosciute ai parlamentari, pari, peraltro, allo stipendio dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione. Discorso diverso meritano i vari benefit, anche se non è questa la sede per approfondire il tema.

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 Tornando al merito della riforma costituzionale, infatti, opinabili risultano: la modalità con cui si è superato il bicameralismo perfetto (benché necessario); l’elezione del nuovo Senato; i poteri dell’ex (?) Camera Alta in relazione all’elezione del Presidente della Repubblica, dei 2 giudici costituzionali e alle leggi e alle riforme costituzionali. Sta di fatto, però, che il DDL del “Governo Renzi” è stato votato dal Parlamento (ex art. 138 Cost.), senza, tuttavia, ottenere il previsto quorum (dei 2/3 dei componenti l’assemblea) e dando, quindi, origine al referendum confermativo del prossimo 4 dicembre.

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Sono, dunque, questi i pilastri della riforma Costituzionale che, è bene precisarlo, non tocca i poteri del Governo in maniera diretta, ma li amplia per effetto. Sono questi i nuovi principi costituzionali che Social Politik vuole “stressare”, al fine di contribuire ad un dibattito che, ci si augura, resti nell’alveo del quesito referendario, di certo poco anglosassone.

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Circa il tema (condiviso) del “superamento del bicameralismo perfetto”, è arcinoto che la riforma costituzionale attribuisce alla sola Camera dei Deputati (che resta di 630 membri) il potere legislativo, tanto da poter riconoscere o meno la fiducia al Governo (art. 55, comma 4). Non a caso, dunque, la Camera dei Deputati continuerà ad essere eletta a suffragio universale diretto (art. 56) e ciascun deputato rappresenterà la Nazione (art. 55, comma 3). Il Senato, invece, a cui viene sottratto il potere legislativo ordinario (art. 70), sarà composto da 95 membri: 21 sindaci e 74 consiglieri regionali, a cui si sommeranno i 5 senatori (non più a vita, ma in carica per 7 anni) nominati dal Capo dello Stato (art. 57). Saranno i Consigli regionali (e quelli provinciali di Trento e Bolzano) ad eleggere, al proprio interno e con metodo proporzionale, i “nuovi” senatori, ai quali verranno riconosciute le stesse guarentigie dei deputati. Meno chiara è la modalità con cui saranno “eletti” i 21 sindaci: 1 per ciascuna regione e 1 per ciascuna provincia autonoma di Trento e Bolzano.

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Sta di fatto che il nuovo art. 57, commi 1 e 2, recita: Il Senato della Repubblica è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. Tale articolo evidenzia la mancanza di elezione diretta dei senatori. Del resto, il Presidente del Senato non sarà più la seconda carica dello Stato. Spetterà al Presidente della Camera esercitare le funzioni di Capo dello Stato <<in ogni caso egli non possa adempierle>> (art. 86). Il Senato, come anticipato, nonostante la particolare modalità di “elezione” (non a caso definita di II livello), avrà competenza legislativa piena su riforme e leggi costituzionali (art. 70, comma 1), sull’elezione del Presidente della Repubblica (art. 83) e sulla nomina di 2 giudici costituzionali (art. 135).

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È del tutto evidente che, in materia, i dubbi siano oltremodo legittimi. Infatti: come può approvare una riforma costituzionale, eleggere il Presidente della Repubblica e nominare 2 giudici costituzionali chi, seppur senatore della Repubblica, non ha ricevuto un mandato popolare diretto e a suffragio universale?! Di converso, e non a caso forse, al Senato della Repubblica è stato sottratto il potere di dichiarare lo stato di guerra; prerogativa esclusiva della Camera dei Deputati (art. 78).

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Una particolare riflessione merita, poi, la modalità di elezione del Presidente della Repubblica che, come effetto, aumenta ulteriormente i poteri della maggioranza parlamentare e, dunque, la “moral suasion” del Capo del Governo. In effetti, con 730 elettori, il candidato Presidente della Repubblica deve ottenere 487 voti (2/3 dell’Assemblea) per salire al Colle. Dal IV scrutinio serviranno 438 voti (i 3/5 dell’Assemblea). Dal VII scrutinio, invece, basterà la maggioranza dei 3/5 dei votanti ossia una maggioranza non qualificata.

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Un ulteriore tema assai interessante, ancorché controverso, rimane il comma 7 del nuovo art. 70: I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Costituzionalizzare un’ipotesi di “conflitto di competenze” tra la Camera e il Senato appare assai singolare. Cosa accade, infatti, se i 2 presidenti non raggiungono nessuna intesa?! Si adisce la Corte Costituzionale … ? Agli elettori l’ardua sentenza.

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martedì 25 Ottobre 2016

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